13 novembre 2006

Scherza coi fanti ...

Questo articolo noin mi sembra niente male, e dunque il pensierino del giorno oggi lo lascio a Paolo Martini:

Scherzate pure sul Papa ma almeno fate ridere
La Stampa, 13/11/2006
di Paolo Martini

FORSE Adriano Celentano ci aveva visto giusto, e ben prima delle censure di «Avvenire», quando aveva cassato la proposta di Crozza d'imitare il nuovo Papa l'anno scorso a «Rockpolitik». La parodia di un Benedetto XVI goffo e gaffeur che fa Maurizio Crozza in televisione, su La7, può anche far sorridere, a volte, ma non è perfettamente riuscita. E su questo è difficile dare torto ai critici del quotidiano dei vescovi, che liquidano il varietà di Crozza come un po' troppo «dopolavoristico», soprattutto «per la debolezza dei testi e la mancanza di ritmo». Lo avevano già detto in tanti, con toni certo meno bacchettoni. Ma la questione ha del paradossale per un aspetto di fondo: alla fine Crozza, da bravo cattolico qual è e quale si mostra persino nella sua vita familiare a Genova, inconsciamente vuol rendere un buon servizio a Ratzinger, umanizzandone quella presunta scarsa, teutonica e professorale inattitudine a comunicare con le masse attraverso la scena televisiva. E forse così «Avvenire», invece, fa un cattivo servizio al Papa che si sforza di ripetere che il cristianesimo non può essere sempre presentato come una somma di divieti morali. Questa piccola vicenda di censurette e indignazioni all'italiana, porta ad affrontare direttamente il delicato problema, per dirla come per il governo Prodi, dei «difetti di comunicazione» del nuovo Papa, schiacciato da un impari confronto in scena con il predecessore Wojtyla. Chissà perché è sfuggito ai cattolici intransigenti un precedente clamoroso, la dotta e irriverente lezione in materia d'immagine ratzingeriana che Dario Fo ha tenuto poche settimane fa, ospite del programma televisivo «Parla con me» di Serena Dandini. Secondo Fo, addirittura, Ratzinger è in contraddizione con il ruolo di Pontefice «perché si veste come nel varietà»: le mantelle che gli svolazzano addosso, il cappello di pelliccia, le scarpette rosse... Anche questa suggestiva analisi comica da «Mistero buffo» 2006, non è parsa particolarmente felice. Ratzinger in fondo si propone come custode della Tradizione, di una restaurazione senza concessioni, persino nella scelta degli abiti e degli accessori, che non a caso sono stati recuperati nei vecchi armadi papalini. L'imitazione di Crozza muove da un punto di vista ben diverso. Non ridicolizza alla Fo l'immagine del nuovo Papa con l'abito che non farebbe il monaco, non gioca insomma sull'incidente simbolico, questo sì «da varietà», di una mantella svolazzante. Crozza cerca di sottolineare proprio la debolezza «mediatica» di Ratzinger rispetto a Wojtyla: non a caso ci riporta sempre in una sorta di fuoricampo della finestra vaticana, da cui il Papa s'appresta ad affacciarsi, e irridendolo ci racconta lo sforzo vano che Ratzinger farebbe per prepararsi ad essere simpatico e comunicativo. Sicuramente Crozza coglie molto bene, sul piano delle intenzioni, un elemento di pregiudizio sulla non straordinaria attitudine comunicativa di questo Papa, che è condiviso dai più e ammesso per primo dallo stesso Benedetto XVI. Ma dalle intenzioni al risultato, il salto è lungo e perciò l'imitazione non pare ancora a punto. Lo aveva intuito Celentano, che non aveva lasciato fare a Crozza questa parodia di Ratzinger a «Rockpolitik», perché la trovava, non a caso, poco diretta e immediata. E forse anche in questo Benedetto XVI riafferma una certezza, sulla fine del postmoderno e della pseudo-ironia come linguaggio unico. Per ora i comici possono girare alla larga dal Papa, senza bisogno di avvertimenti e censure, perché rischiano soprattutto di non far ridere.

11 novembre 2006

"Amo il Verbo"

Monsignor Ravasi cita e commenta questi versi di Lalla Romano su Avvenire di oggi ("Mattutino"):

Amo il Verbo
non le parole
unico è il Verbo
e parole, troppe.
Amo il silenzio, amo
follia e santità della bellezza.

Cento anni fa, proprio come oggi, nasceva Lalla Romano, scomparsa nel 2001. L'amicizia profonda che mi ha unito a lei e che mi ha permesso di darle io l'ultimo saluto religioso ufficiale mi spinge a riproporre la sua figura e la sua parola, impedendo al tempo e alla superficialità dei nostri giorni di far affondare tutto nell'oblio. Quelli che ho proposto sono pochi versi trasparenti eppur intensi che recano la data del 5 luglio 2000, in pratica un anno prima della morte e ci guidano verso una verità umana e cristiana. Umana anzitutto, in questo elogio del silenzio che esclude la chiacchiera, della contemplazione che elide la distrazione, della bellezza che impedisce bruttura e bruttezza, della parola vera e pura che scaccia il vuoto e la banalità. Di questo abbiamo tutti bisogno, avvolti come siamo da una rete di rumori e di immagini alienanti. Ma è significativo che Lalla Romano introduca quel vocabolo e quella maiuscola, Verbo. Ne conosciamo tutti la genesi: «In principio era il Verbo e il Verbo era presso Dio e il Verbo era Dio». È per questo che - come accadeva sempre nei nostri dialoghi di allora - il pensiero corre alla Parola per eccellenza, quella sacra, trascendente, eterna e infinita. Un Verbo unico perché è senza la dispersione della molteplicità, ma unico anche perché non ha confronti ed è indispensabile. Tacere, dunque, e ascoltare il Verbo: è questa una via di redenzione e di salvezza aperta a tutti.

06 novembre 2006

Questi pessimisti!

L'ottimista pensa che questo sia il migliore dei mondi possibili; il pessimista sa che e' vero.
Robert Oppenheimer

04 novembre 2006

Autopunizioni

Oggi fa freddo e tutti sono ben coperti, tutti tranne le ragazzine con l'ombelico di fuori che entrano ed escono dalle scuole. Questa del pancino ignudo è l'autopenitenza più severa che una quindicenne potrebbe immaginare di infliggersi se volesse punirsi di qualche malefatta coi fiocchi.

01 novembre 2006

Gemme nel petto

Da "Il Mattutino" (Avvenire) di oggi, Festa di Ognissanti:

Il santo indossa abiti vili, ma nasconde le gemme nel suo petto.

Ecco oggi davanti a noi la gran folla dei santi noti e ignoti. La Lettera agli Ebrei (12, 1) li compara a una nube dorata, le cui gocce riflettono la luce del sole che è Dio. L'Apocalisse (7, 9) ci ricorda che sono «una moltitudine immensa, che nessuno può contare, di ogni nazione, razza, popolo e lingua».
Potremmo aggiungere anche «di ogni religione», se è vero che la Bibbia stessa tra i giusti che sono con Dio introduce anche Enok, Noè, Giobbe, il re pagano Daniele, che appartengono a culture e fedi differenti da quella ebraica, mentre Cristo ammette nel Regno dei cieli anche coloro che, pur non avendolo conosciuto, l'hanno amato nei poveri e negli ultimi della terra (Matteo 25, 37-40). Proprio in questa linea abbiamo voluto chiamare a parlarci della santità un personaggio estraneo all'orizzonte della Rivelazione biblica.
La bella raffigurazione del santo che sopra abbiamo citato è, infatti, attribuita a Lao-Tzu, pensatore e maestro cinese del VI-V sec. a.C., esponente della spiritualità taoista. È suggestiva l'idea di distinguere tra parvenza e realtà per illustrare la santità. L'arte non ha obbedito a questa concezione e ha isolato i santi nelle aureole, li ha trasfigurati nelle icone, li ha disumanizzati nelle leggende agiografiche. E, invece, essi indossano gli abiti della quotidianità, sono spesso persone semplici e modeste. Eppure nel loro intimo ci sono gemme di luce, c'è un fuoco che riscalda, c'è un segno del divino che opera. Aveva, perciò, ragione Rudolf Otto (1869-1937), grande studioso del fenomeno religioso, quando affermava che «il santo è totalmente diverso e nel contempo estremamente vicino all'uomo».
Gianfranco Ravasi