Il santo indossa abiti vili, ma nasconde le gemme nel suo petto.
Ecco oggi davanti a noi la gran folla dei santi noti e ignoti. La Lettera agli Ebrei (12, 1) li compara a una nube dorata, le cui gocce riflettono la luce del sole che è Dio. L'Apocalisse (7, 9) ci ricorda che sono «una moltitudine immensa, che nessuno può contare, di ogni nazione, razza, popolo e lingua».
Potremmo aggiungere anche «di ogni religione», se è vero che la Bibbia stessa tra i giusti che sono con Dio introduce anche Enok, Noè, Giobbe, il re pagano Daniele, che appartengono a culture e fedi differenti da quella ebraica, mentre Cristo ammette nel Regno dei cieli anche coloro che, pur non avendolo conosciuto, l'hanno amato nei poveri e negli ultimi della terra (Matteo 25, 37-40). Proprio in questa linea abbiamo voluto chiamare a parlarci della santità un personaggio estraneo all'orizzonte della Rivelazione biblica.
La bella raffigurazione del santo che sopra abbiamo citato è, infatti, attribuita a Lao-Tzu, pensatore e maestro cinese del VI-V sec. a.C., esponente della spiritualità taoista. È suggestiva l'idea di distinguere tra parvenza e realtà per illustrare la santità. L'arte non ha obbedito a questa concezione e ha isolato i santi nelle aureole, li ha trasfigurati nelle icone, li ha disumanizzati nelle leggende agiografiche. E, invece, essi indossano gli abiti della quotidianità, sono spesso persone semplici e modeste. Eppure nel loro intimo ci sono gemme di luce, c'è un fuoco che riscalda, c'è un segno del divino che opera. Aveva, perciò, ragione Rudolf Otto (1869-1937), grande studioso del fenomeno religioso, quando affermava che «il santo è totalmente diverso e nel contempo estremamente vicino all'uomo».
Gianfranco Ravasi
01 novembre 2006
Gemme nel petto
Da "Il Mattutino" (Avvenire) di oggi, Festa di Ognissanti:
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