10 dicembre 2007

Sani costumi


Nella mente di un uomo di costumi castigati e puri non potresti trovare nulla di marcio, nulla di sudicio, nessuna piaga nascosta da una cicatrice. Né l’ora fatale coglie la sua vita incompiuta, come si potrebbe dire di un attore tragico che se ne andasse prima di aver recitato tutta la sua parte. Inoltre non si potrebbe trovare in lui nessun atteggiamento servile o affettato, né un eccessivo attaccamento alle cose né un un eccessivo distacco da esse, nulla di cui egli debba rendere conto, nulla che sia nascosto.


Marco Aurelio, A se stesso, Libro III

E' la lettura di questi giorni. Che l'antica Roma abbia potuto concedersi il lusso di un imperatore come Marco Aurelio è una delle cose di cui non smetto mai di meravigliarmi.

27 novembre 2007

Ironia e libertà

Si dirà che c'è una certa Ravasi-dipendenza, ma anche oggi "Il Mattutino" del Monsignore è da incorniciare:


Il senso dell’ironia è una forte garanzia di libertà.

Il filosofo danese ottocentesco Soeren Kierkegaard aveva ragione quando denunciava l’eccesso di ironia che, cadendo nel sarcasmo, riesce a uccidere, un po’ come si fa col fegato delle oche di Strasburgo, ingrossato a dismisura per ottenere il «paté». Tuttavia, tenendo ben ferma la barra perché non si cada nell’eccesso dello sberleffo volgare e aggressivo, ha ragione anche lo scrittore francese Maurice Barrès (1862-1923) sopra citato quando, nella sua opera Sotto l’occhio dei barbari, esalta l’ironia come fonte di libertà. È indubbio che le tirannie non amano mai i comici o gli scrittori satirici e li reprimono senza tante storie. Tante sono le osservazioni che si possono fare su questa qualità della comunicazione umana. La vera ironia è segno di intelligenza e di libertà e quindi deve colpire con criterio e fondatezza, senza cadere nella calunnia, nella volgarità, nella disonestà. Queste frontiere non sono sempre rispettate. L’ironia e l’umorismo devono, perciò, essere pungenti ma non ingiuriosi. Devono essere naturalmente pronti anche a correre i rischi propri di ogni accusa e soprattutto ad accogliere il contrappasso, qualora l’esistenza di chi li pratica non sia coerente. È solo ipocrita il comico che sbeffeggia i potenti e i ricchi e poi si fa sorprendere a bordo di uno yacht o all’interno di una villa faraonica. Ecco, allora, un’ultima nota importante: per fare ironia bisogna prima essere vivamente autoironici, pronti a riconoscere innanzitutto i propri tic, le falsità, le stupidità personali.

22 novembre 2007

Grandezza e miseria della musica

Da Avvenire di oggi, rubrica "Il Mattutino" di Mons. Gianfranco Ravasi:

"Dicono che la musica abbia per effetto di elevare l’anima… Sciocchezze! Non è vero. Agisce, agisce tremendamente, ma non nel senso di elevare l’anima; non la eleva né l’abbassa, la esaspera."

Amo tanto la musica e, perciò, non volevo lasciar passare la festa di s. Cecilia senza parlare di quest’arte. Sono, allora, andato a cercare un passo significativo e ho pensato a qualche testo che avesse la musica nel titolo e m’è venuto subito in mente La sonata a Kreutzer (1889-90) di Tolstoj, racconto terribile ma possente. E ho trovato questa frase anch’essa terribile che, però, non può essere facilmente accantonata. Certo, sappiamo che il grande Cervantes era convinto che donde hay música, no puede haber cosa mala e lo stesso Lutero in un suo scritto intitolato Frau Musica ribadiva che «non può esserci animo cattivo dove cantano gli amici». Tuttavia non bisogna dimenticare che già i Greci sapevano che, accanto alla musica «apollinea», fonte di armonia, bellezza e gioia, c’è anche la musica dionisiaca che acceca, travolge e sconvolge. E qui il pensiero corre, senza voler essere troppo raffinati o prevenuti, a certe espressioni della musica giovanile di oggi: prima ancor di parlare di «rock satanico», ciò che sconcerta è appunto l’esasperazione che quel suono induce, spaccando i timpani, torturando il cervello, isolando la persona in uno stato irrazionale, generando reazioni fisiche sguaiate, eccitate da alcol e droga. Difficile è, a quel punto, stabilire la frontiera tra musica e suono devastante, tra ebbrezza e accecamento. Ma, lasciando a parte questo estremo, è un po’ vero per tutti che la musica può essere sia uno strumento di esaltazione interiore, di luce e di liberazione, ma anche di esasperazione, di inasprimento, di sofferenza, di svelamento del vuoto che è in noi.


Via rob. Leggo abitualmente "Il Mattutino", ma stavolta l'avrei perso se non avessi visitato l'ottimo blog di ro. Un sentito ringraziamento, anche perché questa riflessione sulla musica mi sembra particolarmente attuale.

15 novembre 2007

Religioni nel mirino

Monsignor Alessandro Maggiolini, sul Giornale, informa che la Polizia ha sequestrato duecento tavolette copriwater con scritte in arabo. Erano in un supermercato di Latina. Le scritte riproducevano versetti del Corano.

Maggiolini parla di “gesto spregevole” e di “scemenze”. Oltre che, naturalmente, di “mancanza di rispetto della libertà religiosa”. Sta a ciascuno scegliere i termini più appropriati. Personalmente, di solito, non riesco ad essere altrettanto garbato quando viene offesa la mia o l'altrui religione in maniera così volgare. Il che non è in realtà un fatto rarissimo.

12 novembre 2007

Sulla felicità

Meneceo,
Mai si è troppo giovani o troppo vecchi per la conoscenza della felicità. A qualsiasi età è bello occuparsi del benessere dell'animo nostro.Chi sostiene che non è ancora giunto il momento di dedicarsi alla conoscenza di essa, o che ormai è troppo tardi, è come se andasse dicendo che non è ancora il momento di essere felice, o che ormai è passata l'età. Ecco che da giovani come da vecchi è giusto che noi ci dedichiamo a conoscere la felicità. Per sentirci sempre giovani quando saremo avanti con gli anni in virtù del grato ricordo della felicità avuta in passato, e da giovani, irrobustiti in essa, per prepararci a non temere l'avvenire.

[Epicuro, Lettera sulla felicità (a Meneceo), traduzione di Angelo Maria Pellegrino, Stampa alternativa, Milano 1992.]

27 ottobre 2007

Appartenere

Ci ho messo un po' a tradurlo, perché il mio inglese è a mala pena scolastico, ma questo pensierino di Gabriel Marcel, che in origine sarà stato in francese, sull'appartenere, mi è piaciuto moltissimo. Grazie a chi lo ha messo in rete e a chi lo ha rilanciato.


The more one reflects on it, the more one is convinced, I believe, that the passage from constraint to freedom is accomplished in belonging. This, however, opens up a vast field for meditation. How indeed shall we judge the modern anarchical notion of freedom which implies precisely the fact of not belonging to anybody or anything? Analysis discloses that what is here presented as a plenitude may be after all only a void. We should closely examine, however, the historical relation between this anarchical individualism and a socialism which at first sight seems to be opposed to it in every respect, since they have not only developed concurrently, but have even at times encroached on one another; as though, by a clearly marked dialectic, the unity without content of a self which belongs to nobody gave birth to the false plenitude of a social idolatry to fill or absorb it.

24 ottobre 2007

Insegnare, imparare

Da Avvenire di oggi (“Mattutino” di monsignor Gianfranco Ravasi):


«C'è un duplice vantaggio nell'insegnare perché, mentre si insegna, si impara.»
«Insegnare è imparare due volte.»

Ho anch'io insegnato per anni; anzi, lo stesso fare conferenze è una forma di impartire lezioni e, per questo, condivido il succo delle due frasi sopra citate. Esse provengono da due autori distanti secoli tra loro: la prima è tratta dalle Lettere a Lucilio di Seneca, il famoso filosofo latino del I sec. a.C.; la seconda, invece, è desunta dai Pensieri di un autore francese molto meno noto, Joseph Joubert (1754-1824). La coincidenza tematica è evidente: quando si insegna, si impara, non solo perché si è costretti a chiarire a noi stessi quello che affermiamo, ma anche perché spesso si procede ulteriormente, assieme al discepolo, nella conoscenza. Si è detto che all'inizio si insegna quello che si sa, mentre, giunti alla maturità piena dell'intelligenza, si insegna ciò che non si sa e questo significa ricercare assieme all'alunno la verità. Certo è che tutte le cose che si sono insegnate con serietà sono rimaste in noi in modo più incisivo rispetto a quelle che si sono solo studiate o apprese. Ha, quindi, ragione Joubert: insegnando s'impara due volte. Purtroppo si deve riconoscere che ai nostri giorni s'insegna sempre meno: i genitori sono esitanti nel consigliare e ammonire i loro figli; la scuola si affida a programmi semplificati; i docenti sono non di rado demotivati e si riducono a stanchi ripetitori; la stessa catechesi ecclesiale è in crisi. Cristo quando saluta i suoi apostoli dice loro: «Andate e ammaestrate"». Dovremmo, in tutti i campi, con semplicità e umiltà ritornare a insegnare e a imparare.